Il Politeama ha offerto un concerto della Banda Faber, la sera del 20 dicembre 2024. Il nome del gruppo è un omaggio a Fabrizio De André; ma, attualmente, omaggia tutti i cantautori italiani che hanno prodotto testi di notevole valore.

 Il ricavato del concerto manerbiese è stato devoluto alla cooperativa sociale “Collaboriamo” di Leno, una onlus che si occupa di sostegno alle persone disabili e alle loro famiglie.

La serata al Politeama è stata aperta da “Mi ritorni in mente” (1969) di Lucio Battisti, storia di una cocente delusione d’amore. Del suddetto De André, invece, era “Il fiume Sand Creek” (1981), che rievocava un massacro di nativi nordamericani nel 1864. 

“E penso a te” (1971) di Mina e Battisti tornava alle atmosfere languide e romantiche. “La sera dei miracoli” (1980) di Lucio Dalla descriveva una Roma resa magica dalla luna e dai suoni notturni. “A mano a mano” (1978), scritta da Riccardo Cocciante e resa famosa da Rino Gaetano, parlava invece del miracolo discreto di un amore che poteva far nascere fiori. “Amico” (1980) era uno dei maggiori successi di Renato Zero e celebrava un legame inossidabile. “La casa in riva al mare” (1971) tornava a Lucio Dalla, col sogno di un uomo incarcerato che vedeva tutte le mattine, dalla grata della finestrella, una donna che viveva vicino alla spiaggia…  “Ti vorrei sollevare” (2009) era un famoso duetto di Elisa e Giuliano Sangiorgi sul tentativo di mantenere vivo un amore che sembrava essere un nido sicuro nell’immensità del cosmo. “La donna cannone” (1983) di Francesco De Gregori narrava invece il volo di una donna e del suo amante lontano dai pregiudizi sul corpo “non conforme” di lei. 

“Se telefonando” (1966) era stata resa famosa da Mina. Il testo era di Maurizio Costanzo e le musiche di Ennio Morricone. Alla chitarra, sono stati poi proposti cenni di tanti altri pezzi. “L’isola che non c’è” (1980) di Edoardo Bennato riproponeva il mito del mondo fatato di Peter Pan, come simbolo di ogni utopia che sembra impossibile. “Il tempo di morire” (1970) di Lucio Battisti implorava un attimo d’amore, fra spavalderia di facciata e disperazione latente. Altri accenni alla chitarra riguardavano “La canzone del sole” (1971), nuovamente un brano celeberrimo di Battisti; poi, sono arrivati “I giardini di marzo” (1972), con la malinconia di un giovane che non riesce a trovare “il coraggio di vivere”. Il tema della fragilità è tornato, appunto, con “Anima fragile” (1980), uno dei brani meno noti di Vasco Rossi. 

“Canzone per un’amica” (1967) dei Nomadi rievocava la morte di una ragazza in un incidente stradale. Più enigmatica era “Centro di gravità permanente” (1981) di Franco Battiato, che sembrava alludere alla ricerca di un parametro di verità al di là degli aspetti multiformi della realtà. Molte immagini si susseguivano anche in “Volta la carta” (1978): una filastrocca su un libro illustrato che, man mano, si svelava essere la storia di una campagna spopolata dalla guerra. Anche “Samarcanda” (1977) di Roberto Vecchioni aveva toni da fiaba popolare, cosa che in effetti era: veniva dal folklore arabo.

Dalle tiritere, alla danza: è arrivato “Il cielo d’Irlanda” (1992) di Fiorella Mannoia, coi suoi ritmi vorticosi. “Strada facendo” (1981) di Claudio Baglioni ha invitato a non sentirsi soli durante le difficoltà della vita. “Voglio vederti danzare” (1982) ha riproposto Battiato. Con “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” (1972) è tornato Battisti. Giustamente, però, il concerto si è concluso con De André e un suo grande classico: “Il pescatore” (1970), inno al senso di umanità che supera ogni altra considerazione.

Erica Gazzoldi