Al Teatro Civico “M. Bortolozzi” di Manerbio, il 28 settembre 2024, è andato in scena “Il Canto V dell’ Inferno”. La storia di Paolo e Francesca è stata declamata da Domenico Chiofalo, avvocato con la passione per Dante e per la musica. Sempre lui ha spiegato che il viaggio oltremondano della “Commedia” potrebbe anche essere letto in senso psicanalitico: l’ “Inferno” è il mondo delle pulsioni profonde e censurate; il “Purgatorio” è la fatica dell’Io che vuol rendersi autonomo da queste pulsioni; il “Paradiso” è la pace data dall’equilibrio fra ragione e passioni. 

Il secondo cerchio infernale, quello dei lussuriosi, è descritto dall’Alighieri come destinato a coloro “che la ragion sommettono al talento” (v. 39). Secondo Chiofalo, questa definizione potrebbe essere applicata a tutti i dannati: prima ancor che trasgredire un divieto religioso, hanno violato norme etiche elaborate dalla ragione umana.

Nel caso dei lussuriosi, è stato il loro desiderio carnale a trascinarli verso situazioni rovinose, come la tempesta che li travolge ora nelle tenebre infernali. Tra di loro, ci sono Paolo Malatesta (1246 ca. – tra 1283 e 1285) e Francesca da Polenta (1259/60 – tra 1283 e 1285). Erano cognati, per via del matrimonio combinato di lei con Gianciotto Malatesta. Ebbero una relazione adulterina, terminata con il loro duplice assassinio ad opera dello stesso Gianciotto. I dettagli sulla vicenda sono incerti sul piano storico; la versione più famosa

e dettagliata è stata elaborata da Giovanni Boccaccio nelle “Esposizioni sopra la Comedia” (1373). Qui, Francesca viene presentata come vittima di un inganno: per farle accettare il consorte prescelto, il brutto e zoppo Gianciotto, le nozze vengono celebrate per procura col fratello di lui, Paolo, giunto ad impersonare lo sposo. La scoperta dell’inganno non avrebbe però mutato l’amore concepito da Francesca a prima vista per il cognato. Chiofalo ha suggerito un secondo movente per l’omicidio: il progetto del nuovo matrimonio di Gianciotto con Zambrasina dei Zambrasi.

Oltre all’empatia verso gli sventurati amanti e alla condanna del doppio assassinio in famiglia, il canto dantesco contiene anche un’implicita critica al mito dell’amor cortese, colpevole di idealizzare l’adulterio e di causare così simili tragedie. La Francesca di Dante cita non solo le teorie di Andrea Cappellano (1150-1220) nel “De Amore”, ma anche quelle del poeta Guido Guinizzelli (1235-1276): l’innamoramento sarebbe tipico dei cuori nobili, così come il contraccambio dell’amore. Una giustificazione morale sufficiente per la relazione fra i due cognati? O la mistificazione di un’infatuazione puramente carnale e contraria alla ragione?

L’episodio dantesco è stato accompagnato da alcune canzoni d’autore eseguite al pianoforte dallo stesso Chiofalo. “Inverno” (1968) di Fabrizio De André ha steso un velo sull’ “insensata cura de’ mortali” che porta alla dannazione. Non avrebbero potuto mancare brani d’amore appassionato: “Con tutto l’amore che posso” (1972) di Claudio Baglioni, “Dio, come ti amo!” (1966) di Domenico Modugno, “La costruzione di un amore” (1978) di Ivano Fossati. “La canzone di Marinella” (1962), sempre di De André, è invece nata dall’edulcorazione di un efferato episodio di cronaca: una ragazza brutalmente uccisa come la Francesca di Dante. “Uomini soli” (1990) dei Pooh alludeva alla difficoltà di comunicare: nel Duecento per l’assenza di telecomunicazioni, oggi per motivi più complessi. Il filo conduttore dei sentimenti ha unito i tempi di Dante ai nostri, in una storia d’amore che scavalca i secoli.

Erica Gazzoldi