Gentile direttore,
la cronaca giudiziaria bresciana degli ultimi giorni ha riportato alla ribalta il tema dei rapporti della politica con il mondo delle attività estrattive, ponendo alcuni interrogativi.
In primo luogo i controlli sull’escavato. Troppi sono i casi di accertate escavazioni abusive. Con rilievi topografici annuali realizzati da tecnici incaricati dalla pubblica amministrazione in contraddittorio con gli operatori, non sarebbero capitate. Ricordo anche che sull’escavato gli operatori devono corrispondere annualmente l’onere di escavazione al relativo Comune e, in moltissimi casi, la volumetria dichiarata è una semplice autocertificazione del privato. Inaccettabile.
In secondo luogo la corretta tassazione da applicare. Nell’Agosto 2013 (!) questa rubrica ospitò gentilmente una mia lettera nella quale già allora ponevo il problema dell’assurdità tutta bresciana di cave sottoposte ad aliquota IMU agricola. Il tutto possibile alla luce anche di un ossimoro lessicale contenuto nella legge regionale competente (“…coltivazione di cava..”), come se estrarre ghiaia e sabbia dal sottosuolo corrispondesse a coltivare cereali o ortaggi!
D’altro canto la giurisprudenza nel settore ha da tempo consolidato alcuni capisaldi:
1) i terreni da cava vanno accatastati al catasto fabbricati e non a quello terreni. I Comuni hanno l’obbligo di pretendere dai proprietari tale accatastamento, procedendo d’ufficio e addebitandone le spese di fronte a eventuale inerzia dei privati.
2) l’aliquota IMU da applicare su questi terreni non è quella agricola ma quella consona al tipo di attività industriale che lì si svolge. Un parere dell’Agenzia delle Entrate di Brescia del Dicembre 2013 depositato agli atti del Consiglio Comunale di Rovato e pronunciamenti analoghi della Commissione Tributaria provinciale confermano tale tesi.
3) il valore su cui applicare tale aliquota Imu non è pertanto la rendita catastale agricola del terreno ma il suo oggettivo valore economico (non certamente autocertificato dal proprietario), basato su quantità e qualità dell’inerte di cui è autorizzata l’escavazione. Per convincersi dell’illogicità dell’attuale situazione basterebbe ricordarsi anche di un fatto: molte imprese del settore hanno ottenuto finanziamenti milionari da primari istituti bancari producendo come garanzia il titolo edilizio conseguente alle autorizzazioni all’escavazione di tali terreni e, in caso di vendita, vedendoseli pagati centinaia di volte il valore agricolo. Come è possibile quindi che tali terreni siano valutati come sede di attività industriale se sono da vendere o servano per chiedere mutui e siano invece agricoli nel momento del pagamento delle relative tasse?
La domanda è lecita a maggior ragione ora che la politica provinciale prima e regionale poi hanno approvato il nuovo assurdo piano cave provinciale da 52 milioni di metri cubi, nonostante il fabbisogno dell’edilizia in costante calo.
Se la politica e la pubblica amministrazione volessero recuperare un po’ di credibilità nell’approccio alla gestione di questo settore dovrebbero agire con equità verso tutti i cittadini.
In questa lettera ci sono delle proposte concrete a cui in primis gli amministratori farebbero bene a prestare attenzione, onde evitare contestazioni anche personali per danno erariale, spesso oggettivamente giustificate.
Angelo Bergomi