In una fase storica in cui il dibattito tra integralisti del carburante e progressisti dell’elettrico si fa sempre più acceso, nello sport orceano c’è qualcuno che sceglie la terza via: gettarsi giù per una strada di montagna senza motore, affidandosi solamente (si fa per dire!) alla sua abilità nella gestione di freni e curve in una corsa contro cronometro e gravità.

Spartaco Targhetti è, per molti motivi, una delle stelle di una disciplina che già da quest’anno è stata annoverata a tutti gli effetti entro gli elenchi del CSI: lo speed-down, una sorta di versione attualizzata e resa ancora più competitiva delle discese à toute bride tanto amate dai giovani di una volta. Uno sport concettualmente semplice ma, alla prova dei fatti, capace di coinvolgere in tutto e per tutto squadre e piloti ben più di altre discipline con mezzi a quattro ruote, di cui Targhetti è indiscusso campione, con all’attivo ben nove titoli italiani (e un decimo in arrivo, se tutto andrà come deve andare), sette vittorie di livello europeo (tra cui l’ultima quest’estate in Belgio) e almeno un’altra quarantina di primi posti in altre competizioni regionali o provinciali.

Spartaco, come nasce questa passione?

Sin da piccolo mi divertivo con i miei amici a lanciarmi giù per la “rata” di via Cesare Battisti, ad Orzinuovi, città in cui vivo e sono cresciuto, con qualche kart di fortuna. Di lì, poi, ho iniziato ad appassionarmi di corse e, dai primi anni duemila, ho scoperto questa bellissima disciplina che subito mi ha affascinato. Proprio nel settembre 2004, coinvolto da alcuni amici della Val Camonica, mi sono cimentato con la mia prima competizione, il che fanno vent’anni di amore per questo sport.

Gettarsi a tutta velocità lungo il pendio di una di montagna ha un sapore tutto suo: come si sviluppano le vostre competizioni?

In primis sta ai singoli team predisporre il proprio mezzo, dotandolo di freni e sistemi di sterzo utili a garantire al pilota la possibilità di totalizzare il tempo migliore, proprio come nel rally. Niente motore, si diceva, ma solo pendenza e forza di gravità, contro le quali bisogna combattere ad ogni curva studiando meticolosamente ogni mossa: svoltare troppo lentamente o lesinare di freno in alcune occasioni può rivelarsi molto pericolo.

Appunto, ecco la vera curiosità: non è uno sport pericoloso?

Come tutte le discipline, anche lo speed-down cela delle insidie, ma, nonostante pendenze che vanno da un minimo del 7% ad un massimo del 14 o 15%, le protezioni che siamo tenuti ad indossare e quelle installate lungo il percorso garantiscono la nostra incolumità. Infatti, se durante altre simili competizioni a qualche errore si può rimediare, in questo sport anche il minimo sbaglio può fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta.

Uno sport, come spesso ribadito, alla portata di tutti…

Senza dubbio. La grande bellezza dello speed-down è il lavoro di squadra, che parte dall’allestimento del veicolo – che ha costi nemmeno comparabili con quelli di auto da rally o da corsa, considerato che non ha motore e utilizza il più delle volte pneumatici già utilizzati in altre competizioni – sino alla svolgimento delle gare e delle trasferte, che spesso siamo riusciti a portare a casa grazie all’insostituibile sostegno dell’azienda orceana Toresani Autotrasporti, per la quale mi onoro di lavorare ormai da molti anni e che ringrazio sempre per il suo supporto.

Leonardo Binda