Una singolare e avvincente “caccia al tesoro” per rintracciare un’antica iscrizione funeraria Gota (risalente al VI secolo d. C., periodo che vide la dominazione di questo popolo germanico antecedente ai Longobardi) probabilmente ancora presente e collocata in qualche pozzo privato di Borgosotto di Montichiari. È l’iniziativa lanciata dal Gruppo Archeologico Monteclarense, associazione attiva dal 1989, e in particolare dal suo presidente Paolo Chiarini, sorta compulsando alcune ricerche prodottesi nei secoli da parte di alcuni storici locali. L’iscrizione, secondo gli approfondimenti di don Lorenzo Domenico Treccani che inizialmente la ritenne di origine longobarda, si rinviene intorno al Seicento sul Monte di San Zeno dove fungeva da copertura a una sepoltura e fu messa poi a fare da margine a un pozzo appunto di Borgosotto: sullo stesso colle, peraltro, furono numerosi i ritrovamenti di origine altomedievale, così come alle Fontanelle, siti che già si sono prestati a importanti scavi che hanno portato alla luce vaste necropoli. A “seguire” il percorso dell’iscrizione fu anche Angelo Mazzoldi, illustre intellettuale, politico e docente monteclarense e di cui ricorre quest’anno il 160° della scomparsa, che la vide personalmente (seppur senza indicare la località) per non tacere di Federico Odorici nel suo volume “Storie bresciane”: dopodiché, siamo dunque a metà Ottocento, di questo reperto non si ha più alcuna notizia. Ma cosa è riportato sull’iscrizione? Due sono i nomi che vi compaiono: quello di un certo Scaduein, definito “uomo meritevole”, e quello della moglie Aladrut che fu all’origine della dedica funebre: “B + M – Scadvein V. D in hoc loco reqviescit in pace Aladrvt vxor eivs fecit” (per buona memoria – Scanduein – uomo meritevole – riposa in pace in questo luogo – la moglie Aladrut fece per lui). Borgosotto è citato dallo stesso Treccani con riferimento “al pozzo di Carlo Magro” (ndr, un probabile residente in zona) dove l’epigrafe risulterebbe ai tempi. Nessuna ricerca però è riuscita a risalire all’identità di questo personaggio della frazione, tuttavia è probabile che in uno dei numerosi pozzi che ancora oggi ornano ville, palazzi, abitazioni si trovi, magari anche mutilo, questo prezioso reperto archeologico. Ora l’obiettivo del Gam è riuscire a collocarne la presenza: “Chi ne fosse in possesso – specifica Chiarini – farebbe un’opera meritevole a livello storico nel comunicarci il ritrovamento il che “chiuderebbe” questo viaggio nel tempo. Naturalmente a noi interessa esclusivamente verificarne l’esistenza: nulla cambierebbe circa la proprietà dell’opera che rimarrebbe del suo titolare. Sarebbe davvero di grande valore culturale sapere che l’epigrafe è esiste ancora quale reperto fisico”. Sui Goti a Montichiari sono diversi i testi che ne parlano tra cui il ponderoso tomo “I nomi degli Ostrogoti” di Nicoletta Francovich Onesti con riferimento alle lapidi tombali rinvenute nell’Italia Settentrionale. Una sorta di analoga “caccia al tesoro” negli anni scorsi aveva visto per oggetto un’epigrafe romana risalente al I secolo d.C. (coeva dunque del monumento a Gnatius Germanus collocato ora poco fuori l’ingresso del Museo Lechi) e citata dallo storico Pandolfo Nassino nel Cinquecento, in seguito rintracciata come pietra d’angolo alla base della facciata principale della Pieve di S. Pancrazio.
Federico Migliorati