Lo scorso 1 giugno il vescovo Pierantonio Tremolada ha ufficialmente istituito l’Unità Pastorale di Rovato, intitolandola alla Madonna di S. Stefano. Molti, anche non credenti, si sono chiesti come mai tra tutte le icone e i patroni delle otto parrocchie, sia stata scelta proprio questa Santa Immagine. Qualcuno potrebbe anche credere che S. Carlo Borromeo sarebbe stato più che degno di simboleggiare questa Unità Pastorale, ed è pur vero. Tuttavia già a lui è intitolata l’intera Vicaria dell’ovest bresciano… senza contare che essendo patrono della parrocchia di S. Maria Assunta, non sarebbe stato neutrale quanto lo è invece l’icona di quello che è il Santuario di tutti i rovatesi e la cui storia si ricollega proprio con il cardinale patrono.
Innanzitutto la chiesa di S. Stefano (inizialmente nel medioevo intitolata anche a S. Lorenzo), è una delle più antiche di Rovato e, sebbene non sia dimostrato che fosse la primitiva chiesa parrocchiale, sicuramente è la sede dove iniziò pian piano a svilupparsi una sorta di indipendenza dalla pieve di Coccaglio attorno alla metà del XIV sec.
Ed è proprio in questi primi tempi che compaiono le prime citazioni di una Sacra Immagine della Madonna che, in quel santuario compiva miracoli e prodigi. Siamo nel 1327, la comunità di Rovato che di fatto era vassalla del vescovo (che aveva anche il titolo di Conte di Rovato), unitasi da qualche anno alla schiera dei comuni guelfi alleati della città di Brescia, si era quindi ribellata al suo vescovo. Federico Maggi, vescovo di Brescia ghibellinissimo, era in tali contrasti con il comune di Brescia che lo accusava di voler instaurare una Signoria personale, che dovette vivere in esilio a Milano. I Maggi bresciani vantavano solidi rapporti coi Visconti, e in quell’anno terribile Azzone Visconti invase il bresciano e dopo aver saccheggiato Trenzano volse le sue truppe su Rovato. La cittadina resisté per molti giorni, ma poi fu presa con l’inganno e punita per aver aderito alla parte guelfa. Il paese fu incendiato, molte persone massacrate e 150 uomini deportati come schiavi. In quei momenti si dice che un’immagine della Madonna in quella chiesa ai piedi del monte, compisse prodigi e salvò tanta gente.
Sicuramente non si tratta icona che vediamo oggi, dato che questa è databile a quasi due secoli dopo, ma siamo già di fronte ad un dato interessante. Un evento importante avviene molto tempo dopo: nel 1580 è tempo della vista apostolica di S. Carlo Borromeo, che tra le tante cose fatte consegnò l’abito talare al cugino Federico proprio nella chiesa di S. Stefano “ove s’aveva una Santissima Vergine posta sopra un colle, ornata di molte miracolose meraviglie”, che il biografo del futuro cardinal Federico ricorda essergli stata consegnata proprio “nel medesimo luogo e davanti a quella S.S. Immagine della Vergine”.
Proprio il patrono di Rovato sembra suggellare l’importanza simbolica e devozionale di questa icona. Una Madre che rimane discosta dal paese e che si tende anche a dimenticare nella frenesia della vita quotidiana, ma alla quale immancabilmente i rovatesi accorrono nei momenti di smarrimento e disperazione. Celebre è l’evento del novembre del 1944. Rovato rischiò la totale distruzione a causa delle incursioni aeree e di un convoglio con decine di carri carichi di esplosivi fermi in stazione. Come scrisse mons. Zenucchini nel suo diario: «Si toccò con mano da tutti la protezione della Vergine di S. Stefano» a cui largo popolo rovatese si rivolse in preghiera per scongiurare la catastrofe.
Nel 1958, freschi di memoria per quanto successo pochi anni prima, alcuni emigranti di Rovato portarono una copia di quel dipinto dall’altra parte del mondo, ad Halifax nel Queensland dell’Australia. La Sacra Immagine fu scelta come il simbolo che richiamasse le loro origini e forse anche per noi dovrebbe rievocare, con tutta la sua storia, le origini della Fede e delle speranze di tutta la comunità.
Alberto Fossadri