Gli anni ’70 sono stati un periodo coinvolgente e pieno di contraddizioni che hanno caratterizzato in modo indelebile il costume e la società dell’epoca. Ereditarono dal decennio precedente un pensiero contro-culturale che aveva stravolto i canoni classici, modificando profondamente i valori e le aspirazioni delle nuove generazioni, le quali non si riconoscevano più nelle consuetudini fino ad allora prevalenti. Anche la moda ne è stata influenzata e, travolta, questo cambiamento radicale è stato fonte d’ispirazione per molti stilisti che interpretarono le nuove tendenze puntando su colore, stampe fantasia, gonne lunghe a balze, salopette, introducendo anche capi unisex che venivano indossati dai due generi con disinvoltura. Anche Manerbio, con il suo piccolo microcosmo, si allineava ai nuovi dettami della moda: le camicie iniziarono a colorarsi, i colletti ad allungarsi e i pantaloni a stringersi sempre più alla vita e ad allargarsi “a zampa di elefante” alle estremità. Si vedevano gonne floreali, occhiali da sole over-size, giacche con frange, borselli, stivali, sandali e zoccoli con zeppe vertiginose.
Per noi, che eravamo i “bimbi” dell’epoca, in quegli anni il dress code era indirizzato dalle nostre “personal-shoppers”, le mamme e le nonne, poco inclini a seguire lo stile in voga del tempo, ed assidue frequentatrici dello spazio di tendenza a loro più congeniale, ossia il mercato del mercoledì, con il suo epicentro in Piazza Cesare Battisti, dove sorge la sede comunale.
Nel periodo estivo noi bimbi vestivamo con canottiere a strisce fini orizzontali bianche e blu o bianche e rosse, mentre qualcuno sfoggiava quelle rarissime con bande bianche, verdi o gialle. I pantaloni corti, adatti alla stagione, erano confezionati rigorosamente con tele rosse o blu, con applicati in bella mostra sulla tasta gli scudetti di Milan, Inter e Juventus. Ai piedi sfoggiavamo gli immancabili sandali di gomma – sempre in tinta con i pantaloncini, eccezion fatta per quelli color nocciola chiaro – dotati di una chiusura regolabile forata e laterale da non slacciare più una volta trovata la misura ideale per il piede di ciascuno, con le suole sempre bucherellate dai tanti sassolini che, tolti alla sera dopo una giornata di corse in campi e cortili, lasciavano la loro stampa in rilievo sui piedi.
Durante la stagione invernale, invece, Loden ed Eskimo ti difendevano dai rigori climatici, così come i pantaloni di velluto, appena confezionati dalla macchina da cucire di cada o ereditati dal fratello maggiore, i nostri dolcevita bianchi o azzurri di fibre sintetiche talmente cariche di elettricità statica che, quando venivano tolte, ti facevano rizzare i capelli in testa.
Nei periodi più freddi andavano per la maggiore anche cuffie con il pon-pon, passamontagna, e, per i più arditi, anche cappelli di pelo con codona modello Davy Crockett. Per le grandi occasioni – vedi comunioni, sposalizi o ricorrenze – era necessario indossare la giacchetta della festa con bermuda classici o pantaloni alla zuava, ostentando gli indimenticabili calzini bianchi e lunghi di pizzo fatti ad uncinetto e calzando le scarpette con gli “occhi” sul collo del piede con allaccio laterale e fibbia di metallo.
Completavano poi il guardaroba di noi ragazzini le immancabili t-shirt, di solito bianche di cotone, con impressa la pubblicità di attività locali che le regalavano per reclamizzare il loro business. Quelli più fortunati si vantavano indossando quelle colorate che riportavano l’effige di noti personaggi di programmi televisivi o memorabili copertine di dischi. Come non ricordare, infine, le magliette con l’immagine di Sandokan con in testa il turbante o quelle con la scritta “Yuppi Du” e l’inconfondibile sagoma di Celentano stampata tra le due parole.
Con l’arrivo degli anni ’80 e la maturazione di noi giovani, inizieranno gli approcci “indipendenti” alle nuove tendenze, cariche di nuovi canoni di riferimento, ma questa è un’altra storia…
Angelo, Ivan e Graziano