«I ragazzi vanno in internet a lenire la solitudine che provano quando sono con gli adulti a scuola o in famiglia». Va controcorrente il pensiero Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta considerato uno degli esperti più riconosciuti, capace di parlarci degli adolescenti in crisi e in sofferenza nell’era del dominio del digitale. Lancini, ospite lo scorso 14 dicembre nella QdV arena della Sacra Famiglia, ha smontato le convinzioni dei presenti una ad una, mettendo il mondo adulto, molti i docenti e i genitori presenti alla serata, in crisi. Nel suo ultimo libro, dal titolo «Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta» Lancini mette a fuoco un tema attualissimo, collocando la fragilità più sugli adulti che sugli adolescenti i quali sono spesso così disorientati e angosciati proprio come conseguenza delle scelte effettuate per loro da chi ne ha la responsabilità. E così, mentre gran parte delle attenzioni del mondo adulto si concentrano sulle limitazioni o sui divieti dell’uso che i giovani fanno degli smartphone, dei videogiochi e dei social (credendo così di poter affrontare e tenere sotto controllo la situazione con l’obiettivo di placare le nostre ansie), nessuno più si occupa dei bisogni dei ragazzi, nessuno li aiuta a muoversi in un mondo tutto informatizzato in cui noi stessi li abbiamo costretti a essere onlife. Già, perché il mondo adulto, il medesimo che vieta o impone regole sull’uso dei dispositivi, è lo stesso che ha “educato” i propri figli, sin da piccoli, all’uso degli schermi digitali (spesso per un bisogno di tenerli occupati intanto che noi facciamo altro) al posto di lasciarli iberi di sprigionare l’energia corporea tipica dell’età. In una famiglia definita “narcisistica”, tutta proiettata sulle relazioni affettive tese a garantire anzitutto la felicità dei propri figli, si fa fatica a far rispettare le regole che una volta nessuno osava mettere in discussione e che invece oggi vanno continuamente spiegate e giustificate tenendo conto anche di non esasperare le relazioni con i figli . Il conflitto, le discussioni accese , i divieti e le conseguenti diatribe tra genitori e figli non sono più percepiti come strumenti di educazione che richiedono al figlio di “obbedire” all’autorevolezza della parola del genitore ma si traducono spesso in dialoghi estenuanti che vengono subito messi a tacere in quanto logorano il clima famigliare. Così i figli, sin da piccoli iper-stimolati e saturati nei desideri e nelle proposte di una pluralità di esperienze (piscina, cavallo, strumento, karate, inglese, danza, scacchi, catechismo e persino pigiama party), non più abituati a misurarsi con la frustrazione e il senso di colpa, faticano a mettere a fuoco la propria identità.
Per questo, secondo Lancini, non possiamo colpevolizzare gli adolescenti disorientati, che spesso vanno in crisi perché scoprono dentro di sé il vuoto identitario e tentano di riconoscersi, accedendo a social sempre più accattivanti, nei tiktoker, negli influencer, nei calciatori più in voga, nei personaggi trasgressivi del mondo virtuale e dello spettacolo. Ed è così che le situazioni di estraneità nelle quali si trovano ad agire, associate al senso di disorientamento e alla sofferenza per non riuscire a trovare se stessi, fanno fatica a tradursi in parole e finiscono spesso per sfociare in comportamenti a rischio.
Come intervenire allora per aiutare gli adolescenti a muoversi verso la realizzazione di sé? Intanto è sempre importante fissarsi sul significato del comportamento più che sulla ricerca della causa, mettendosi in ascolto del ragazzo e cercando di capire chi è davvero questo figlio di cui spesso non conosciamo i pensieri più intimi.
E la scuola? La scuola, definita come «il miglior ambiente possibile di crescita», nelle pratiche e nelle persone può fare molto per “guardare” l’alunno e sostenerlo nel “guardarsi dentro”, per dare voce alle sue inespresse richieste di aiuto, per segnare la differenza tra mondo reale e mondo virtuale, per aiutarlo a fare i conti con il fallimento e la delusione. Lancini invita i docenti a recuperare l’investimento e la motivazione degli alunni rendendo la scuola un’esperienza rigorosa ma significativa e attenta al benessere degli studenti. Come già molti altri esperti, chiede anche di abbandonare la scarsa oggettività della valutazione scolastica centrata sulla scala decimale, per parlare agli studenti con le parole e non con i numeri, per discutere con loro giudizi personalizzati che evidenzino i loro punti di forza e di debolezza facendoli sentire protagonisti della loro crescita.
Ma ciò contro cui lo psicologo punta decisamente il dito è la fragilità di tutto il mondo adulto, contrassegnata dalla lacerazione delle relazioni, dalla perdita di molti valori sociali di riferimento, dall’accelerazione esagerata del fare e del consumare, dall’esasperata difficoltà degli adulti fragili ad accettare la fragilità dei figli. «Devi essere te stesso ma a modo mio» dicono i diversi adulti che agiscono sull’adolescente, ognuno trasferendo sul ragazzo le proprie proiezioni che, spesso, con il ragazzo hanno poco a che fare. È necessario avviare percorsi di alfabetizzazione emotiva per gli adulti, capaci di far riemergere l’autorevolezza del ruolo genitoriale e di comprendere che è fondamentale esserci per loro, facendo sentire agli adolescenti che noi tutti, genitori, insegnanti, allenatori… ci siamo, pronti ad ascoltare ciò che hanno da dirci, impegnati a rinunciare a qualcosa di noi stessi «per aggiungerlo a loro, per raggiungere il figlio o la figlia nel luogo affettivo e mentale dove vive. Al figlio e allo studente deve essere fatta un’offerta, non una richiesta».