Nel 1919, all’alba nuova dopo gli orrendi massacri della Grande Guerra, veniva dato alle stampe il libro “Modesti Eroi”, nel quale furono inscritti a perenne memoria i nomi di tutti i 139 ragazzi che la nostra comunità ha immolato sulle vette delle Alpi, sulle pendici del Grappa, sulle sassaie del Carso, nel letto del Piave.
Novembre è da un secolo il mese della memoria non solo dei Caduti della prima guerra mondiale, ma del sacrificio in tutti i conflitti. Il senso di ricordare chi ha risposto alla chiamata del paese con la vita, è ben esposto nelle parole di un sacerdote che quel dramma lo ha vissuto in prima persona e che ci disse in maniera diretta quanto le corone di fiori, le lacrime e i discorsi di commemorazione non siano sufficienti.
Don Andrea Galuppini (1875-1942), nativo di Mezzane di Calvisano (dove tra l’altro sarebbe diventato parroco), nei tenebrosi giorni della guerra del 15-18 era curato in Rovato. Qui dirigeva l’oratorio e si occupava delle scuole serali, quando giunse la chiamata alle armi per tanti ragazzi che lui aveva imparato a conoscere e ad apprezzare: «io li conobbi tutti, io li amai, li ebbi intorno fanciulli, li vidi crescere forti, semplici, religiosi, buoni. Lasciate adunque, o mamme, ch’io mi unisca a voi nel pianto, perché le lacrime vostre sono pure le mie. E accettate queste pagine, che vi segnano con precisione i luoghi santi del martirio dei vostri».
Ecco dunque svelato il motivo per il quale don Andrea (che fu anche tenente di fanteria) si prodigò nella ricerca dei luoghi in cui ogni soldato rovatese aveva perso la vita, lontano dagli affetti e, a volte, persino dalla patria in qualche sperduto campo di prigionia tedesco.
Leggendo i suoi pensieri, scritti a guerra appena conclusa e a mente fresca, non si può rimanere impassibili senza interrogarsi: «essi hanno aperto col ferro la via alla grandezza d’Italia, noi dobbiamo continuarla con abnegazione, con ardore, con entusiasmo, per essere degni di loro. Essi a prezzo della vita hanno fatto l’Italia, noi dobbiamo esserne degni Italiani, perché non basta il dolore inerte, non bastano le lacrime! Vi restano ancora nel mondo tante sante e nobili battaglie da combattere per l’amore, per la giustizia, per la fede cristiana».
E un monito lo lancia anche a chi, come me, studiando e divulgando la Storia spesso cade nell’errore di parlare dei grandi avvenimenti senza soffermarsi su ciò che ha significato per i singoli individui che le hanno vissute. Perciò ritengo doveroso chiudere con le sue parole, dato che mi hanno fatto molto riflettere sulla differenza enorme che sussiste tra conoscere la Storia, e comprenderla.
«Chi scriverà la storia della guerra, avrà a parlare di cose grandi, sorvolando sicuramente il povero modesto soldato che, inchiodato nella trincea fangosa per dei mesi interi, s’è spento là, in un angolo abbandonato, coperto di mitraglia, e il suo estremo gemito si perdette col rombo del cannone, il suo sguardo spegnendosi non vide il caro sembiante materno, la fronte pura non ebbe l’impronta calda e amorosa delle labbra materne. È compito nostro quello di amarli, di conoscerli uno per uno, di guardarli nell’anima questi umili eroi!»
Alberto Fossadri