Intorno agli anni ’50 ero un bambino, ma ricordo ancora con quanto entusiasmo si aspettava il Natale per fare il presepio.

Di solito, otto giorni prima, io e il mio amico Berto si andava sul monte a raccogliere il muschio; era una festa, poiché si stava via tutto il pomeriggio per cercare il migliore e raccoglierne una cassetta, tornando poi verso sera, sporchi, stanchi e contenti.

La scelta del luogo dove realizzare il presepio era di solito in terra o su un tavolo, ma anche nel camino perché riusciva meglio.

Sullo sfondo si metteva la carta blu, la stessa che si usava per ricoprire i quaderni di scuola, le stelle si ritagliavano dalla carta della cioccolata, così anche la cometa.

I più fortunati comperavano quella fatta di “sterlusì”, cioè di brillantini d’argento.

II mio amico Berto era un esperto nei presepi, costruiva il paesaggio con le “stele de mur”, pezzi di legno nodoso e mal sagomato, adatti allo scopo.

Berto si sbizzarriva a fare montagne, grotte e laghetti; nelle grotte, sul fondo, metteva uno specchio per dare profondità. I fiumi e i laghetti si facevano con la carta stagnola; sulla montagna più alta sistemava il castello di re Erode, da lui stesso disegnato e costruito, con tanto di ponte levatoio, torri con merli, finestre e porte, dietro le quali incollava carte colorate, rosse, azzurre e gialle per sistemarvi dietro una candelina accesa. Poi lo dipingeva di grigio e, fila per fila, segnava i mattoni; sulla torre la guardia e il re Erode, il ponte levatoio si alzava e abbassava con un gioco di spaghi; sulle montagne le pecore, le caprette con i loro pastori.

Qua e là una casetta con fuori personaggi vari; normalmente erano lavandaie; sistemato vicino ad un ruscello c’era un mulino con tanto di mugnaio con il sacco della farina. Vicino al laghetto il pescatore col pesce attaccato alla lenza che sembrava una balena.

Berto, con tre bastoncini e un secchiello, faceva il fuoco e vicino un personaggio che faceva la polenta. In piccole grotte sistemava il falegname, l’arrotino, il ciabattino, il fornaio.

Essendo le statuine di carta-pesta, con l’umidità del muschio spesso si mutilavano, soprattutto le pecore, ma Berto gli infilava un pezzo di fiammifero di legno e la protesi era fatta. Anche le galline ogni tanto si azzoppavano ma, per quelle, niente gamba di ricambio bastava appoggiarle sull’erba. Nei laghetti, oche e pesciolini.

I tre Re Magi, con il cammello, si mettevano in fondo al presepio, lontani dalla capanna perché dovevano seguire la stella cometa. Berto ogni tanto li spostava avanti un pezzo fino a farli arrivare per l’Epifania alla capanna.

Le piante delle montagne si facevano con il pungitopo (spina surec), sempre raccolto sul monte Orfano, le stradine con la farina bianca e la neve con piccoli fiocchi di cotone; per finire si attaccava l’angelo annunciatore in mezzo al cielo con un filo invisibile da pesca.

La notte di Natale, si usava mettere dei ceppi sul fuoco e anche il mio amico Berto lo faceva perché così la Madonna poteva far asciugare ì “panisei” del Bambin Gesù.

I giorni successivi al Natale, c’erano le visite, cioè di casa in casa ci si visitava per vedere i presepi. Quando gli amici venivano a vedere quello del mio amico Berto lui chiudeva le finestre, accendeva le candeline e decine di finestrelle si illuminavano di vari colori, e il presepio, con il suo fascino, raccontava alla gente la misteriosa nascita di Gesù Bambino.

Gianluigi Carletto Pedrali

(Trascrizione e adattamento a cura di Emanuele Lopez)