Il pittore manerbiese Luciano Baiguera, nel nostro difficile periodo storico, ha dedicato la sua mostra personale al tema “Ecce Homo et Ancilla Domini”. La tematica si ricollega alla Seconda di Ottobre, la domenica in cui Manerbio festeggia la Beata Vergine Maria del Rosario. L’esposizione, infatti, è stata inaugurata il 9 ottobre ed è rimasta aperta fino al 29 del mese, al Bar Borgomella. Ma le figure di Cristo e di Maria, nella concezione di Baiguera, sono anche e soprattutto paradigmi universali di umanità, di gioia e di dolore.
La “Donna con fiore” era ispirata a un’opera di Achille Funi. Il piacere della vista e quello dell’olfatto si fondevano, per offrire consolazione ai sensi. La donna era anche una seconda Eva, rivisitata unendo Matisse a Picasso. Il dipinto era su carta, il materiale preferito da Baiguera. Essa è da lui spesso trattata con la cenere, simbolo della caducità materiale per eccellenza: l’arte la trasforma in qualcosa di bello e prezioso.
“Il faro”, invece, era stato realizzato con pastello su legno. Era una citazione dallo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello: così come in quest’ultimo, vedevamo aprirsi una porta che dava sull’orizzonte azzurro. Sulla stessa linea del “Faro”, si trovava appeso un “Cristo Pantokrator” realizzato nello stile delle icone bizantine: questo permetteva la lettura allegorica dell’opera.
L’ “Annunciazione”, invece, vedeva un Gabriele dalle ali trasformate in onde luminose rivolgersi a una Madonna contemporanea. La finestra sullo sfondo dava su una scena notturna: la cartiera di Verolavecchia illuminata da lampioni. Accanto, c’era un altro notturno: la pieve di Manerbio appariva in lontananza, mentre un’onda di luce invadeva il cielo scuro; s’intravedevano in essa tre profili stilizzati di arcangeli.
Il Pantokrator di cui sopra era affiancato da una Madonna con Bambino. Nei pressi, c’era anche “La guerre”: una torre in rovina ricordava contemporaneamente la torre di Babele e le distruzioni operate dai bombardamenti, mentre una figura umana si rannicchiava nella terra. Il ritratto accanto (carboncino su carta) rappresentava un’anziana contadina ucraina ed era stato realizzato in tempi non sospetti, per immortalare una persona reale. La donna offriva pane e sale, tradizionale modo per accogliere gli ospiti.
In “S. Michele e il drago”, si ritrovava l’onda luminosa, unita al movimento verticale. La scelta della carta di giornale come supporto rimandava al quotidiano e alla fragilità. Nella bocca del drago, appariva un finto orizzonte luminoso, tagliato dalla lingua biforcuta; sotto il suo mento, si trovava l’orizzonte reale, con tanto di chiesa in lontananza. Il bordo superiore dell’opera era dorato: un riferimento al divino e all’eternità.
Un’altra Madonna col Bambino compariva su sfondo carnicino, a suggerire calore e un rimando all’Incarnazione. La terza Maternità era dipinta su tela di sacco: l’ossidazione l’aveva trasformata in una Madonna nera. Accanto, si trovava l’immagine di un feto proveniente dall’esposizione “Ecce Homo”, realizzata in occasione della Giornata della Memoria 2016. Il “Ritratto di signora” era dedicato alla memoria di una donna defunta, che si apprestava a passare per la porta dell’eternità. “L’angelo del trapasso dalla follia umana” era dedicato alle vittime di famose stragi terroristiche, accostate al Cristo sacrificato. Una serie di disegni di piccolo formato riassume le tematiche della mostra, in immagini nette ed essenziali come meditazioni.
Erica Gazzoldi