“Coraggio, fanciullo, è così che si arriva alle stelle”, scrive Virgilio nel nono libro del suo capolavoro letterario, l’Eneide, mentre narra di Apollo che sta esaltando Ascanio, figlio di Enea, progenitore della stirpe dei Iulii, invitando il giovane ad osare per conoscere ciò che ancora è oscuro. È proprio un inesauribile gusto per l’ignoto, una curiosità tanto innata quanto evoluta quella che anima Gianandrea Bodini, medico odontoiatra, osservatore attento degli astri sin dalla tenera età. La sua passione ebbe inizio quando un amico del padre, come pegno di gratitudine per innumerevoli cortesie, decise di regalare al piccolo Gianandrea, allora bambino di otto anni, un primo telescopio. “Iniziai così a mettermi a guardare il cielo dal terrazzo della nostra casa in piazza Garibaldi, partendo, come accade a tutti, proprio dall’osservazione della Luna – ha esordito Bodini – Cominciai poi a concentrarmi sulle stelle e su oggetti sempre più luminosi, fino ad intravedere Giove: l’illuminazione pubblica aveva un’intensità decisamente minore rispetto ad oggi ed era possibile osservare astri davvero spettacolari anche in pieno centro abitato”. A questo secondo pianeta seguirono poi Saturno e le due straordinarie galassie M81 e M82, fino ad arrivare a saper riconoscere, anche solo ad una rapida scorsa, buona parte degli astri della volta celeste, gravidi di storie e suggestioni mitologiche. Così l’uomo, nell’età dell’oro della civiltà sino all’evo moderno, cercava di dare ragione dell’esistenza di questi straordinari oggetti, spesso osservati ad occhio nudo o grazie all’ausilio di strumenti semplicissimi: si trovò così ragione della suggestiva costellazione della Lira, strumento che Orfeo usò per irretire Plutone e cercare di salvare dagli Inferi l’amata Euridice, delle “lune” di Giove, chiamate con il nome dei suoi amanti più celebri come Europa e Ganimede, o ancora delle sfere celesti nelle quali la filosofia aristotelica voleva fosse diviso il firmamento, magistralmente ripresi nella ricostruzione del Paradiso fatta da Dante nella sua Commedia. “Oggi la strumentazione di cui dispongo è ben più all’avanguardia di quel primo telescopio, ma resta immutato il fascino e la curiosità con la quale continuo ad approcciarmi a questa straordinaria passione – continua – Molto spesso, tutti intenti a guardare in basso, ci dimentichiamo di alzare ogni tanto lo sguardo e contemplare ciò che ci circonda. Credo che tutto questo crei una suggestione romantica davvero unica”. È quel senso del sublime, della grandezza della natura che con la sua forza spaventa ed affascina, che ha portato gli uomini più accorti ad alzare lo sguardo al cielo, estraniandosi da un senso di innata supremazia e intuendo la nostra limitatezza rispetto allo sterminato infinito. “Guardare le stelle era uno dei passatempi più amati della nostra gente, quando, stando con il naso all’insù, si cercava di dimenticare la miseria e la fame dopo una giornata di lungo lavoro tra i campi e la stalla – conclude Bodini – Sarebbe molto affascinante recuperare il nostro rapporto con le cose semplici, con la bellezza senza fine degli astri: oggi, anche con strumenti facilmente reperibili, si può tornare ad osservare il cielo e iniziare, di nuovo, a sognare”.

Leonardo Binda