L’obiettivo di chi intendeva introdurre una serie di cambiamenti in materia di magistratura e di amministrazione della Giustizia non è stato centrato. Il motivo del flop del referendum è riconducibile ad almeno 3 fattori tra loro strettamente interconnessi: la limitata risonanza mediatica, la complessità di alcuni quesiti referendari, “l’usura” del referendum abrogativo a cui possiamo benissimo aggiungere un quarto fattore ovvero la crescente diffidenza dei cittadini nei confronti dei meccanismi che regolano l’istituto referendario. Basti pensare, a titolo d’esempio, alla delusione creata negli elettori quando molte delle 520 mila firme raccolte dal Comitato Si Aboliamo la Caccia non sono state ritenute valide dalla Corte di Cassazione, motivo per cui il quesito referendario è stato considerato non ammissibile alla fase di votazione.
Vediamo, comunque, nel dettaglio i risultatidei cinque quesiti referendari a Rovato:
Abrogazione legge Severino 66,99 % Si e 33,01 % NO
Il primo quesito (scheda rossa) riguardava l’abrogazione del decreto legislativo numero 235 del 2012, la cosiddetta Legge Severino, che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza dalle cariche elettive per rappresentanti di governo, consiglieri regionali, amministratori locali e sindaci in caso di condanna. Con una differenza: che per gli amministratori locali è sufficiente la condanna in primo grado per alcuni reati gravi, mentre per gli incarichi nazionali le norme valgono dopo la condanna definitiva. La vittoria del sì avrebbe comportato la decadenza della legge, e quindi l’abolizione dell’automatismo: sarebbero i giudici a decidere sui singoli casi, volta per volta, se applicare l’interdizione dai pubblici uffici.
Limitazione misure cautelari 67,87% SI 32,13 % NO
Il secondo quesito (scheda arancione) proponeva la limitazione delle misure cautelari: si chiedeva di intervenire sull’articolo 274 del Codice di procedura penale eliminando la reiterazione del reato tra i motivi per cui è possibile per i giudici, anche per reati non gravi, disporre la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari nel corso delle indagini. Se avesse vinto il sì la possibilità di applicare misure cautelari agli indagati rimarrebbe per i casi di pericolo di fuga e inquinamento delle prove mentre per il rischio di reiterazione dello stesso reato sarebbe valsa solo nel caso di reati di particolare gravità.
Separazione funzioni magistrati 84,66% SI 15,34 % NO
Eliminare la possibilità per i magistrati, nel corso della propria carriera, di passare dalle funzioni di pubblico ministero a quelle di giudice e viceversa. È quanto proponeva il terzo quesito referendario (scheda gialla). Oggi questo passaggio è consentito per quattro volte, mentre la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm prevede una sola possibilità. Di fatto la prevalenza dei sì avrebbe determinato una separazione delle carriere, tra requirente e giudicante, e porterebbe i magistrati a dover scegliere dall’inizio una delle due senza potere più cambiare.
Valutazione magistrati 82,97% SI 17,03 % NO
Il quarto quesito (scheda grigia) riguardava la possibilità che i ’laici’, avvocati e professori universitari, esprimano il proprio voto nei consigli giudiziari e nel Consiglio direttivo della Cassazione sulle valutazioni dei magistrati. Si proponeva l’abrogazione delle norme in materia di composizione dei consigli e di competenze dei componenti laici. Attualmente sulle valutazioni di professionalità dei magistrati si esprime il Csm, in base ai giudizi espressi dai Consigli nei quali però possono votare solo i magistrati. La questione è affrontata in parte anche dalla riforma Cartabia, che però prevede il voto degli avvocati solo se c’è una segnalazione su fatti specifici da parte del Consiglio dell’ordine.
Firme per elezione togati Csm 83,65% SI 16,35% NO
Infine il quinto quesito, scheda verde, proponeva l’abrogazione di alcune norme in materia di elezione dei togati al Consiglio superiore della magistratura. In particolare chiedeva di eliminare l’obbligo di raccogliere dalle 25 alle 50 firme per potere presentare la propria candidatura: nelle intenzioni dei proponenti un modo per evitare che dietro i candidati al Csm ci sia il sistema delle correnti. La riforma del governo interviene sul punto, creando un sistema elettorale misto, maggioritario con correttivo proporzionale, che non previste liste ma candidature individuali.
Dal 1946 ad oggi i Referendum perdono in attrattiva
Dal 1946 a oggi sono stati 67 i referendum abrogativi: alcuni, come quello sul divorzio (1970) e sull’aborto (1981) hanno avuto – a livello nazionale – percentuali altissime di affluenza. Il 79,4% l’aborto e l’87,7% il divorzio. Il Referendum del 17 aprile 2016 sulle trivelle, raggiunse appena il 31,18% di votanti: andò a votare un elettore su tre. Per trovare un altro caso di Referendum flop, bisogna tornare indietro di 13 anni, al 2009 ai tre referendum promossi da Mario Segni e Giovanni Guzzetta. Tema dei quesiti proposti: l’assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata anziché alla coalizione; stesso meccanismo anche per il Senato; impossibilità per una stessa persona di candidarsi in più circoscrizioni. Alle urne rispose solo il 23% degli italiani.
Mauro Ferrari