Al Palazzo Sonzogni, ha avuto luogo domenica 27 marzo l’inaugurazione dei corsi proposti da Auser per questa primavera.
Negli anni scorsi, abbiamo invitato alle nostre inaugurazioni docenti di alto livello come Duccio Demetrio, e un giovane e promettente regista Elia Moutamid.
L’idea era quella di coinvolgere quattro Muse: Poesia, arte, Danza e Musica.
E’ la prima volta che invitiamo una poetessa.
La poesia di Francesca Stassi è stata accompagnata al clarinetto dal maestro Igor Masia, mentre le Danzatrici scalze componevano brevi ma intensi momenti di grazia e bellezza.
Il laboratorio teatrale con Daniela Beretta e Emilia Costa hanno letto brani poetici di Tagore, Verlaine, Leopardi, Gibran, Pasternak e Machado.
Il Circolo degli artisti che si ritrova ogni mercoled’ a Villa Cantù ha allestito una piccola esposizione dei loro dipinti.
Parlare di poesia e di bellezza, parlare di tenerezza e di metafore è un compito che mi sono assunta consapevole di una sola cosa. La poesia è una delle prime forme di scrittura di sé.
Amo la poesia anche senza avere grandi strumenti per parlarne. La amo come si ama ciò che è bello e di Francesca ho subito colto questa sua fresca e produttiva ventata di creatività, come anche questo bisogno di dire agli altri chi è.
Sì, abbiamo bisogno di poeti, abbiamo bisogno di tenerezza.
Francesca Stassi scrive poesie da sempre. E si affida a me, dandomi il compito di presentare l’ultimo suo libro.
“Ci salverà la tenerezza.“
Francesca è nata a Catania nel 1963.
nel 1917 esce la sua prima silloge: Per arrivare a te.
L’anno dopo dà alle stampe la sua seconda raccolta di versi: Cantami l’indicibile amore, e nell’ottobre 2019 il suo terzo libro in cinque temi: Gli occhi appiccicati alla finestra.
Ha ricevuto molti premi e le sono stati riconosciuti vari premi a livello nazionale.
Nella poesia ci si svela agli altri.
Chiudi gli occhi pensando di tenere la tua anima al sicuro, ma è già fuggita dalle pagine di quei piccoli libri. Abbiamo bisogno di capire, prima di tutto noi stessi, e la poesia nasce da una sorta di ricerca, da una inquietudine che ha radici profonde.
Il poeta ha desiderio di scavare per capire dalle radici che pianta è. Vuole capire dove affonda quel suo sentire, quel guardarsi intorno, quel cercare dietro le apparenze, dietro i vetri delle finestre.
E noi assistiamo alle sue finzioni alla sua indifferente calma mentre lega i pensieri in forma di treccia. E poi la vediamo mentre corre tra le braccia di una nonna che la chiamava, di una mamma che doveva tacere.
Ma Francesca non sa tacere. Lei parla per dare forma ai suoi sogni, al suo sentire, al suo voler uscire dal girotondo, per sedersi sulle scale. Sola.
La mia poesia
si inginocchia
davanti ad un filo d’erba
si stupisce di un fiore
si commuove quando muore,
trema
di fronte all’ignoranza
all’indifferenza
e piange nella solitudine
cercata e subita
la mia poesia non sa di essere poesia
e parla senza filtri
davanti ad uno specchio
balla e si diverte
poi si sofferma e soffre
per una vita di inchiostro
fatta solo di parole
Francesca vuole guardare oltre il visibile, oltre quella pretesa di credersi padroni di una ragnatela che è prigione, non casa.
Cosa potremo chiederle che già non ci ha svelato? Ha spine che non pungono e tanta fame d’amore.
…Tutto è trascritto
Nel liquido acquarello
Di un distratto momento
Io sono la pioggia
Che verrà domani.
E poi emerge quella radice che affonda in terre profonde, quel modo di sentire che è nel battito di ciglia nel cercare negli altri un cenno di approvazione, quell’urgenza di aspettare che siano gli altri a dirti chi sei, mentre lo sai benissimo che gli altri vedranno cose che non sei.
Teme lo sconforto atavico, quel calare il berretto, quel sorriso beffardo:
“Cosa credevi?”…
E invece Francesca ha saputo ascoltare altre voci e le parole le ha sapute intrecciare bene non per farne una treccia, ma per lasciare andare nel vento quei suoi pensieri che vogliono andare lontano. Sono leggeri come petali sapendo, mentre volano via, che le radici sono lì, in quella terra che è casa ma anche prigione o spine.
A volte il passaggio di differenziazione si fa sentire come una specie di “chiamata” che si manifesta con una crisi o con eventi traumatici
Dice Jung che il vero processo di individuazione è l’incontro con il proprio centro interiore che inizia come una lacerazione della personalità e con sofferenza.
La poesia appartiene a tutti noi, è un genere eterno, incompreso ma testardo. Proviamoci insieme, a darLe fiato.
Lasceremo parlare Lei. Basta parafrasi. Basta analisi! È il momento del lasciar scorrere quelle emozioni anche se ci sembrano prive di senso.
Bisogna catturare quelle essenze, quei profumi, quelle emozioni impalpabili che abitano le nostre stanze, i nostri sogni. Bisogna che ci togliamo quegli abiti rigidi che all’improvviso ci opprimono, ci stanno stretti. Occorre liberare quei pensieri e perdere quel pudore che ci blocca che facciamo fatica a gestire. Lasciamo scorrere quelle parole che ci commuovono e bruciano.
Lasciamoci andare, lasciamola entrare, questa “Poesia”. Chiede solamente di essere accolta. Poi sentita. Infine amata.
Ai coraggiosi, la scoperta del proprio sé.
Mariolina Cadeddu