Povera torre di Borgo San Giacomo. Eretta nel 1710 e ultimata (con l’aggiunta di una cupola) qualche anno più tardi, non ha avuto vita difficile, ma, al pari di molte altre nobili consorelle, neanche tanto facile.
Infatti, già l’anno successivo, durante un brutto temporalotto estivo, due fulmini colpiscono la cupola che sta lassù in alto, provocando, tra l’altro, pure un incendio, che porta alla caduta di parte della cupola stessa. L’«opera» (di demolizione) si compie l’anno successivo, con l’arrivo di un’altra tempesta, una di quelle toste, che causa il crollo della succitata cupola, ma anche delle scale, delle campane eccetera eccetera.
Ma gli abitanti del Borgo non si perdono d’animo: è proprio grazie a loro, infatti, che è possibile rimettere le cose a posto, tant’è vero che, pochi anni dopo, un nuovo coro di campane trova posto lassù in cima alla torre. E riprende lo scampanio: din, don dan…
Tra alti e bassi passano gli anni. Pare addirittura che, una decina d’anni fa, forse qualcuno in più, grazie ad un seme portato lassù chissà da chi, probabilmente dal vento, sulla cima della torre sia sbocciata e cresciuta addirittura una pianticella di fico. Pianticella che, ovviamente, è poi stata rimossa.
Tutto bene, dunque. Poi, accidenti a loro, ci si mettono anche quei maledetti piccioni, che sono belli e buoni, ma che stanno ai monumenti come il fuoco ad una casetta di legno e paglia. Un poco alla volta, infatti, un escremento oggi, un altro domani, i piccioni rovinano la cella campanaria della torre. Col risultato che, al pari delle altre consorelle, prese d’assedio dai piccioni, anche la torre di Borgo San Giacomo dà segni di cedimento.
Potevano, i gabianesi dal cuore grande così, lasciare la loro torre alla mercé del tempo e dei colombi? Certo che no. Il manufatto, infatti, è stato oggetto di una serie di interventi (a cominciare dalla pulizia della cella campanaria), che l’hanno riportato all’antico splendore. Ovviamente, sono pure state installate reti antivolatili, capaci di tenere alla larga i piccioni…
Da sottolineare che, nel segno di una (bella) tradizione, tutto questo è stato possibile grazie al contributo di molte famiglie del paese, che, al pari dei loro antenati di qualche secolo fa, non si sono tirati indietro quando s’è trattato di metter mano al portafogli per riportare all’antico splendore la loro cara, vecchia torre campanaria.
Che può riprendere a scampanellare: din, don, dan… Ed subito festa.