Ci siamo lasciati con la fine dell’impero romano e l’anticipazione del ruolo della pieve di Coccaglio e dei monaci cluniacensi, ma tra un evento e l’altro corrono cinque secoli di cui, riguardo alla condizione specifica della fisionomia territoriale di Rovato, possiamo dire ben poco.

Certamente un centro abitato dev’essersi sviluppato nel periodo longobardo. Sulla cima del monte Orfano resta la chiesa di S. Michele che, secondo i più, testimonia proprio un timbro inconfondibile dell’influenza longobarda. È naturale credere che lassù si sia sviluppata la comunità in quest’epoca difficile, protetta e ben difesa contro le invasioni ungare del IX sec. e poi solo successivamente spostatasi più a valle. Possiamo “leggere” lo spostamento della comunità dal monte al pedemonte, proprio attraverso il trasloco a tappe del baricentro religioso: S. Michele, S. Stefano e poi S. Maria Assunta.

In quell’epoca il territorio rovatese non dev’essere cambiato molto, dopotutto nell’alto medioevo le risorse economiche per tentare ampie bonifiche le possedevano solamente i monasteri che, fino all’anno 1000, si interessarono poco della Franciacorta. Col disfacimento del Regno Longobardo e l’invasione franca, nel IX sec. Carlo Magno ridisegnò gli assetti istituzionali istituendo il sistema delle pievi e il sistema feudale. Nei successivi due secoli il sistema feudale andò in crisi e la prima soluzione trovata dagli imperatori fu quella di istituire la figura dei vescovi-conti. Proprio mentre il borgo di Rovato inizia a svilupparsi seriamente, il vescovo di Brescia è conte della città, marchese di Toscolano e duca di Valcamonica e dal 1037, col diploma di Corrado II, il vescovo Olderico ottiene la giurisdizione del territorio tra l’Oglio e il Mella. Questo rese possibile la nascita di numerose corti agrarie esenti da imposizioni fiscali: le curtis francae, soprattutto in quelle aree lasciate incolte attorno a piccole chiese agresti che divennero in alcuni casi fortunati monasteri.

In questo tempo la chiesa di S. Stefano dipendeva direttamente dalla pieve di Coccaglio (dedicata alla Natività di Maria) dalla quale si renderà indipendente con un lento processo: nel 1179 S. Stefano attesta il possesso diretto di alcuni beni anche a Grumetto (Duomo) e nel 1334 in un documento figura aver raggiunto l’autonomia nella cura sacerdotale.

Ritornando all’XI sec. è importante segnalare come per tutta la Franciacorta, e quindi anche per Rovato, sia stato importante il turbolento periodo noto come “lotta per le investiture” (1073-1122). Ricordato velocemente nei testi scolastici, ha avuto importanti ricadute ancora percepibili sul nostro territorio.

Nel bresciano era notevole l’influenza politica di Matilde di Canossa, la principale sostenitrice del papato riformatore, nonché di uno dei suoi principali alleati, il conte Uberto di Parma. La fazione canossiana si impose nel bresciano con l’elezione del vescovo Arimanno (legato a Matilde, a Gregorio VII e a Urbano II). A questo punto occorre ricordare che uno dei maggiori sostenitori del papato in Europa era l’abate Ugo di Cluny, fondatore dei cluniacensi che avevano riformato la Regola di S. Benedetto. Perciò, la scelta fatta da alcune famiglie locali nella donazione di beni ai cluniacensi è stata prima di tutto una mossa politica! Così fecero i da Mozzo con la donazione dell’isola di S. Paolo sul lago; i da Ticengo con S. Pietro in Lamosa (1083); i Rodengo con S. Pietro a Rodengo (1090); i de Salis con i beni a Sale di Gussago.

A queste scelte si accodarono anche gli antichi monasteri bresciani di Leno e S. Salvatore che donarono ai nuovi priorati cluniacensi parte delle loro possessioni, in particolare quelle infruttifere e ancora non bonificate. Saranno i cluniacensi a rimboccarsi le maniche ed attirare coloni per strappare alla natura quel pezzo di territorio che noi chiamiamo Franciacorta.

Alberto Fossadri