Negli ultimi due articoli sono state fornite sommarie informazioni sugli statuti di Orzinuovi e illustrate alcune “curiosità” desunte dagli statuti di Orzinuovi, Soncino e Chiari. Questo articolo è dedicato ad alcune traduzioni bizzarre. Premetto che la traduzione di manoscritti antichi può comportare alcune interpretazioni non sempre corrette; ma queste che riporto sfiorano, involontariamente, il comico.
I primi due casi riguardano Soncino, mentre l’ultimo interessa il nostro borgo.
Non più tardi di tre-quattro anni fa, ero impegnato in un lavoro in collaborazione con altri, che riguardava il confronto tra corpus statutari di realtà sociali vicine. Per Soncino interpellai il prof. Ermete Rossi: questi mi informò che esisteva una traduzione degli Statuti di Soncino effettuata alcuni anni prima da “due professori universitari di Milano”, su incarico remunerato dell’Amministrazione comunale di Soncino di allora. La traduzione non era stata, e non è, ancora pubblicata. Su mia richiesta, l’attuale Amministrazione, cortesemente, mi rilasciò la traduzione contenuta in un file-testo su supporto digitale. Leggendo alcuni capitoli che interessavano la mia ricerca mi imbattei, casualmente, in queste due bizzarre traduzioni.Primo caso (fig. A).
Il cap. CCCXCIV (394) prevede disposizioni che riguardano le meretrici e il loro allontanamento dal paese in caso di denuncia: “publice meretrices expellantur de Soncino ad petitionem vicinorum […] idem fiat de meretricibus Casalenghis” (= le pubbliche meretrici siano espulse da Soncino su richiesta dei vicini […] lo stesso accada per le meretrici casalinghe). Dove il termine casalinghe sta ad indicare prostitute che ricevono clienti in casa. Divertente la traduzione contenuta nel file che mi era stato consegnato: “Le prostitute pubbliche siano espulse da Soncino su richiesta dei vicini […] e ugualmente si faccia per le prostitute di Casalingo”. “Casalinghe” era diventato “di Casalingo”, improbabile rione o frazione di Soncino, noto per le sue prostitute. S
Ancora più spiritoso il secondo caso, se non altro per i presupposti impliciti. Il cap. CCCCLXXVI (476) contempla pene per comportamenti ritenuti scorretti: “Nulla persona, tam de Soncino, quam forensis, audeat, vel presumat gestare, vel mingere, vel aliam turpitudinem facere, in aliqua Ecclesia, vel confinibus Ecclesiae, vel super, vel sub Palatio, vel prope Palatium Communis Soncini, vel in plataea magna dicti Co[munis]” (Nessuna persona, sia di Soncino o forestiera, osi o presuma defecare o orinare o fare altra turpitudine in qualche Chiesa o nelle vicinanze di una Chiesa o sopra o sotto il Palazzo o vicino al Palazzo del Comune di Soncino o sulla grande piazza di detto Comune). Il contesto della rubrica è inequivocabile: i bisogni corporali non siano espletati in certi luoghi (ne abbiamo parlato anche nell’articolo di febbraio). Estrosa e stravagante la traduzione contenuta nel file: “Nessuna persona, sia di Soncino o forestiera, osi o presuma far partorire o mungere o fare altra turpitudine in qualche Chiesa o nelle vicinanze di una Chiesa o sopra o sotto il Palazzo o vicino al Palazzo del Comune di Soncino o sulla grande piazza di detto Comune”. La defecazione (gestare) è diventata un parto; orinare (mingere, così anche in italiano) si è trasformato in mungere. Paradossali i presupposti impliciti nella traduzione: il parto è assimilato a una turpitudine; le vacche erano portate in chiesa o su nel palazzo comunale o in piazza per essere munte.
Il prof. E. Rossi, informato di queste inesattezze, si è fatto carico di rettificare il testo della traduzione.
Orzinuovi: castagni e marroni.
Il caso che riguarda gli Statuti di Orzinuovi non ha esiti altrettanto comici come i casi precedenti, ma lo riporto perché emblematico di una traduzione palesemente errata che approda anche a siti istituzionali come www.lombardiabeniculturali.it della regione Lombardia.
Il cap. 210 prevede quanto segue (mie le sottolineature): “Item statutum est quod quelibet persona castri de Urceis et districtus habentes vigintiquinque plodia terre et ab inde infra teneatur et debeat pro quolibet plodio terre plantare in possessionibus suis duos pedes castanearum et duos marronorum et ipsas debeant inserire et alevare in dictis suis possessionibus hinc ad unum annum” (Così pure fu stabilito che tutte le persone del Castello degli Orzi e suo distretto aventi venticinque piò di terra, siano tenute e debbano per ciascun piò piantare ne’ suoi campi due pie’ di castagne, e due di marroni: e queste piante debbano innestarle ed allevarle nei detti fondi” .
In pratica, ai proprietari di 25 piò di terra è fatto obbligo di coltivare piante di castagne e di marroni in proporzione al numero di piò posseduti, con l’obbligo di curarne la crescita fino ad un anno (inserire et alevare […] ad unum annum). La misura imposta è di due piedi (piantine, polloni, ceppatelle, piantoni che dir si voglia) delle due tipologie per ogni piò. La norma viene ulteriormente definita nel cap. 211 che concede la facoltà di coltivare in un unico terreno la quantità di castagni e marroni dovuta . Il cap. 212 prevede delle multe per chi venga trovato a tagliare dette piantine.
Nella seconda metà dell’ottocento F. Perini e G. Rosa traducevano correttamente la norma: “Stimavansi tanto le castagne che al capo 211 [210 negli originali] ordinossi che chi possedeva 25 piò di terra (8 ettari) o meno, dovesse ad ogni piò porre due piantoni di castagne e due di marroni (duos pedes castanearum et duos maronorum) e poi allevarli ed inserirli”.
C. A. Mor, invece, parla di due piò di castagne e due di marroni: “Perciò agli agricoltori, proprietari o tenitori di terreni con più di venticinque piò di terra è fatto obbligo: di piantare due piò di castagni, e due di marroni”. Un vero e proprio bosco, se si pensa che la misura indicata doveva essere osservata per ogni piò posseduto!
È questa traduzione, palesemente errata e bizzarra, che viene divulgata e ripresa acriticamente, anche in tempi recenti, da studiosi locali. Più significativo il fatto che la ritroviamo anche nella scheda del sito ufficiale, per altri versi ben fatto e interessante, www.lombardiabeniculturali.it della regione Lombardia; in detta scheda si legge “gli agricoltori con più di piò 25 di terra devono piantare piò 2 di castagna e piò 2 di marroni” (http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/complessi-archivistici/MIBA002EBC/ ultima consultazione 23 febbraio 2019).
I “cellati” di Chiari, ovvero i delatori istituzionali.
Il cap. 73 degli Statuti di Chiari prevede che i Consoli devono eleggere, entro otto giorni dall’inizio del loro incarico, tre uomini “bonos et legales” per ogni Quadra. Questi uomini giurano di denunciare “chi bestemmia Dio, i santi e le sante […] i giocatori, i ladri, chi procuri danno ai possedimenti, ai campi coltivati e ai terreni, orti giardini, e chi lavori nei giorni proibiti e che imbrogli su pesi e misure […] tutti e ognuno che parlino ed agiscano contro lo stato e l’onore della Serenissima”. Gli eletti devono essere chiamati “cellati” e la loro identità deve restare segreta. Non possono rivelarsi, pena un’ammenda e il carcere per otto o più giorni. Chi, essendo stato eletto, non presta giuramento, non accettando l’incarico, viene multato.